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Valerio Verbano 20 anni Roma, 22 febbraio 1980 Non è in casa Valerio
Verbano la mattina del 22 febbraio 1980, quando tre giovani si
presentano alla porta dell’abitazione, in via Monte Bianco, nel
quartiere Tufello. La madre apre. Amici di Valerio, dicono. Scatta la
trappola. Carla e Sardo, i
genitori, vengono immobilizzati, legati e imbavagliati nella camera da
letto. Gli assassini aspettano, in un tempo che sembra eterno. Pieno di
terrore e con un tenue filo di speranza. All’una e quaranta Valerio
mette la chiave nella serratura. Quel rumore familiare e amico strazia
il cuore dei suoi cari. Ed è la fine in diretta.
Un incubo. Il frastuono di una colluttazione. Valerio disarma uno degli
aggressori. Non basta. Gli rimane solo la voce per un Aiuto mamma,
prima di morire sul divano in un lago di sangue, colpito da uno sparo
alle spalle. Il giorno dei funerali
avrebbe compiuto diciannove anni. Per Carla e Sardo è una condanna a
vita, un dolore destinato a ripetersi all’infinito. Senza tregua.
Arriva una prima falsa rivendicazione, con una sigla fantoccio di
sinistra che accuserebbe il compagno di delazione. Poi c’è un balletto
di rivendicazioni e smentite da parte dei Nar. Un turbinio di false
notizie per intorbidire le acque. Molte lacune nelle inchieste. E
depistaggi. I suoi compagni e tutto il movimento denunciano subito la
matrice fascista di quanto accaduto. È probabile che a ucciderlo siano
stati militanti nell’area di Terza Posizione che volevano accreditarsi
con i NAR. Ma perché fra tanti
comunisti è stato scelto proprio Valerio, ci si è spesso domandati,
senza mai arrivare a una certezza. Un’ipotesi è legata a una rissa
avvenuta a piazza Annibaliano nell’ottobre 1978, a pochi giorni
dall’assassinio di Ivo Zini. Valerio si trova a fronteggiare, armato di
coltello, alcuni fascisti fra cui Nanni De Angelis. Due militanti della
destra vengono accoltellati, due compagni sono feriti. Valerio è
colpito con una martellata, e in quell’occasione perde il suo borsello,
che contiene anche i documenti di identità. I fascisti hanno quindi
tutti i suoi dati e possono organizzare la vendetta. La seconda ipotesi è
quella più conosciuta. Sui fascisti Valerio, insieme ad altri, lavorava
a un dossier di controinformazione. Nomi, foto. Legami con la
criminalità organizzata, con gli apparati statali. Raccoglieva dati
girando spesso da solo con la sua Vespetta e la macchina fotografica.
Il dossier gli viene sequestrato nell’aprile del 1979, quando finisce
in carcere con altri compagni perché trovato in un casale abbandonato
alla periferia di Roma a confezionare bottiglie incendiarie. Valerio è uno studente
del liceo scientifico Archimede, milita nelle organizzazioni
territoriali legate all’Autonomia Operaia. In casa gli sequestrano
anche una pistola. Esce dal carcere nel mese di novembre. Il dossier
non gli viene restituito. Un’ulteriore ipotesi, nella ricerca di un
movente specifico, è connessa all’uccisione di Stefano Cecchetti,
studente del liceo Archimede, lo stesso di Valerio. Il 10 gennaio 1979
nel quartiere Talenti un gruppo di Compagni Organizzati per il
Comunismo spara davanti a un bar, noto ritrovo di fascisti, e uccide un
giovane, ma lo stesso Valerio, che lo conosceva, si dichiara
pubblicamente contrario a quell’azione, pur rivendicata dal movimento,
affermando che non si trattava di un militante fascista. Un mese dopo la morte di
Valerio, nel suo stesso quartiere viene ucciso a colpi di pistola
Angelo Mancia, segretario della locale sezione del Movimento Sociale
Italiano. L’azione è rivendicata dai compagni organizzati in Volante
Rossa, come risposta all’assassinio del compagno. Le indagini vanno
avanti fino al 2019, fra chiusure e riaperture, indiziati vecchi e
nuovi, scomparsa e ricomparsa di reperti, tra cui il famoso dossier,
che di tanto in tanto sbuca fuori in mani differenti di giudici,
giornalisti, poliziotti, carabinieri, e in diverse versioni, in copie
fotostatiche. Non si ha la certezza che il giudice Mario Amato abbia realmente consultato il dossier, prima di essere ucciso dai NAR nel giugno 1980. E non è detto che sia finita qui. Nel frattempo però sono stati distrutti tutti quegli oggetti che potevano fornire utili elementi probatori, se sottoposti ai nuovi esami per la rilevazione del DNA. Il padre di Valerio, Sardo, ha costruito un proprio dossier, consegnato ai giudici, contenente tutte le informazioni sulle varie ipotesi dell’uccisione del figlio. Alla sua scomparsa il
testimone è stato raccolto dalla moglie Carla, che ha cercato
disperatamente la verità, fino alla morte, nel giugno 2012. Rispondendo
a un suo appello, le è stata consegnata alla porta una copia del
dossier più approfondita di quella realizzata da Valerio, e aggiornata
al 1982. A oltre quarant’anni dall’omicidio non c’è stata alcuna condanna. Ma Valerio continua a essere presente nelle lotte dei compagni e delle compagne, anche giovanissimi, che ogni anno il 22 febbraio partecipano al corteo, continua a vivere nella Palestra popolare al Tufello a lui intitolata, nelle diverse iniziative realizzate a suo nome, come il grande murale dello street artist Jorit inaugurato nel febbraio 2021 sulla facciata di una palazzina di via delle Isole Curzolane. A distanza di oltre quarant’anni, quindi, Valerio vive nei comunisti e negli antifascisti di ogni età. Ripreso da: Fondazione larossaprimavera.org
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