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Pietro Maria Walter Greco (Pedro) 38 anni Trieste, 9 marzo 1985 Pietro Maria Walter Greco, conosciuto da tutti come “Pedro”, figlio di proletari calabresi di Melito Porto Salvo arriva a Padova alla fine degli anni sessanta per studiare. Si iscrive a Statistica, conseguirà più tardi la laurea che gli permetterà di lavorare come insegnante di matematica e con il suo lavoro sostenere la famiglia al Sud. Dal suo arrivo a Padova la sua presenza all’interno del movimento di lotta è instancabile. Centinaia e centinaia di proletari lo ricordano al proprio fianco nelle iniziative nei quartieri, dove si sviluppava come in tutta Italia, un forte movimento per il diritto alla casa; occupazioni, autoriduzioni contro il caro affitto unite alla lotta per i servizi nel territorio. Significative nel ’72 le occupazioni di case in via Tirana nel quartiere Savonarola. E ancora lo ricordano, sempre in prima fila, nelle mobilitazioni di massa e nell’antifascismo militante che hanno caratterizzato quegli anni contro le trame nere, le stragi fasciste fino alla grande manifestazione del 3 giugno 1975 a Padova che contestava il comizio di Almirante. Poi la lotta per le mense, gli spazi sociali, la lotta sul posto di lavoro. La sua presenza piena di forza e determinazione, la sua spontanea e grande capacità di coinvolgimento era troppo scomoda. Il primo mandato di cattura E’ l’11/3/80. Il mandato di cattura che costringe Pedro alla latitanza è per reato associativo e per partecipazione ad una manifestazione del ‘77 terminata con scontri con la polizia. E‘ firmato da Pietro Calogero, magistrato che si distinse a cavallo degli anni ‘70 e ‘80 per il suo zelo antiproletario e anticomunista incarcerando decine e decine di proletari e di comunisti che erano stati interni alle lotte degli anni ‘70. La testimonianza contro Pedro è sostenuta da un tossicodipendente Maurizio Lovo. “…non ricordo la presenza di Pedro alla manifestazione, sono comunque indotto a pensare che ci fosse.” Questa la deposizione del Lovo. Vista l’inconsistenza delle accuse, al processo per direttissima Pedro viene stralciato costringendolo così a prolungare la sua latitanza. Tutto questo gli costa la perdita del posto di lavoro da insegnante. La sentenza del TAR che decreta la sua riassunzione e il riconoscimento degli emolumenti arriva provocatoriamente solo dopo il suo assassinio. Nel maggio 1981, grazie alla mobilitazione dei compagni Pedro è prosciolto e ritorna a Padova dove continua il suo encomiabile apporto alle lotte proletarie: da quelle dei precari del censimento a quelle dei precari della scuola, si batte per la riconquista del posto di lavoro. E ancora, è a fianco di chi lotta per la casa nel Ghetto dove abita e agli occupanti del condominio Sereno al Portello Occupa il Centro Sociale “Nuvola Rossa” nel quartiere Savonarola. Questa sarà una delle prime e più grosse esperienze di aggregazione giovanile proletaria a Padova. Il secondo mandato di cattura Sono i primi mesi del 1982. Pietro Calogero col blitz denominato di “Quaresima” spicca decine di mandali di cattura. Pedro è di nuovo costretto alla latitanza. Questa volta il pentito di turno è Mauro Paesotto, l’imputazione sempre la stessa, il reato associativo “costituzione di banda armata non denominata” senza alcun riferimento a fatti specifici e senza alcuna prova. Per Pedro questa latitanza sarà senza ritorno. 9 marzo 1985, omicidio di stato Nei primi giorni di marzo la Digos di Trieste riceve una segnalazione dal Sisde (il Servizio Segreto del Ministero degli Interni) della presenza di Pedro a Trieste in via Giulia 39. Il questore di Trieste è Antonino Allegra, capo della squadra politica di Milano quando fu “suicidato” l’anarchico Pinelli. Sabato 9 marzo ore 11. Pedro esce di casa, dall’appartamento al terzo piano: una volta giù decide di rientrare. Appostati all’esterno ci sono 4 sicari dello Stato italiano. Sono Nunzio Maurizio Romano, agente del Sisde (che ha il compito di riconoscerlo); Giuseppe Guidi, vice-ispettore della Digos, Maurizio Bensa e Mario Passanisi, agenti della Digos di Trieste. Il Romano, il Guidi e il Passanisi entrano nello stabile e si mettono in agguato nel sottoscala. Quando Pedro discende le scale il Romano gli si para davanti e spara due colpi calibro 38 a meno di mezzo metro di distanza che lo colpiscono ai polmoni. Immediato il fuoco incrociato degli altri due poliziotti killer che colpiscono Pedro con pallottole calibro 9 alla spalla e alla gamba. Nel piccolo atrio si conteranno successivamente i segni di almeno una dozzina di colpi. Pedro fa appello per l’ultima volta alla sua straordinaria forza di volontà, uscendo in strada e impedendo così che lutto si svolga senza testimoni. Esce, ferito mortalmente, parecchi passanti lo sentono gridare “mi vogliono ammazzare mi vogliono ammazzare“. Il Bensa, rimasto all’esterno dello stabile, appena vede Pedro gli spara, alle spalle. Pedro si accascia sanguinante dopo pochi metri. Il Passanisi lo ammanetta. Trasportato in ospedale con notevole ritardo, muore verso le 11.50. Non ci sono dubbi sulla premeditazione dell’omicidio. |