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Benedetto Petrone 18 anni

Bari, 28 novembre 1977

Benedetto Petrone aveva 18 anni ed era iscritto alla Fgci.

Frequentava la sezione del Pci di Bari Vecchia, dove abitava, era il quinto di nove figli. Per aiutare la famiglia, aveva lasciato gli studi.

Lavorava come operaio edile.

La sera del 28 una nutrita squadra di fascisti esce dalla sede Passaquindici del Msi, con in mano mazze ed in tasca alcuni coltelli.

L’agguato è premeditato: si dirigono verso Bari Vecchia con l’obiettivo di colpire alcuni capi del movimento studentesco. Il gruppo viene però avvistato da una ragazza che corre al bar del borgo vecchio dove si trovano i compagni. I fascisti tentano di avvicinarsi al locale ma vengono immediatamente messi in fuga per i vicoli della città.

Arrivati nella piazza della prefettura, nel pieno centro cittadino, i fascisti vedono tre ragazzi, tra cui c’è Benedetto Petrone. I tre ragazzi cercano di scappare, ma Petrone è più lento per colpa di una malattia che lo affligge che comporta problemi di deambulazione. L’amico torna indietro ma i fascisti ormai gli sono addosso. Benedetto Petrone viene colpito con mazze e coltelli. Sarà una coltellata ad ucciderlo. L’amico, Franco Intranò, viene ferito al torace.

Il 30 ottobre un corteo attraversa le strade di Bari. Più di 30’000 persone scendono in piazza per opporso alla violenza fascista e gridare che “Benny vive!”.

Davanti alla Prefettura, che è il luogo dove il ragazzo era stato ucciso, vengono fatte alcune barricate, rovesciando delle macchine parcheggiate. Le barricate permettono ai manifestanti di salire al primo piano della Cisnal e devastarla. Stessa fine farà poi la sede dell’Msi: i manifestanti entrano all’interno della sede da dove erano partiti i fascisti che viene distrutta e bruciata.

La verità processuale individuò un solo colpevole: solo un missino fu condannato per l’omicidio, nonostante furono in più di trenta a partecipare all’agguato.

Il tentativo fu di far passare il tutto come una rissa tra teste calde di opposti estremismi.

Fu condannato a 22 anni di reclusione dalla Corte d’assise di Bari il solo esecutore materiale, Giuseppe Piccolo, pena ridotta in appello a 16 anni nel 1982.

Piccolo morì suicida in carcere due anni dopo la sentenza di secondo grado.

Il coltello che colpì Benedetto Petrone fu ritrovato in una stanza della sede del Movimento Sociale Italiano, che divenne poi il quartiere generale di An ed oggi è motivo di contesa tra Pdl e Fli.

Da Osservatoriosullarepressione.org