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Gli anarchici della Baracca

Luigi Lo Celso 26 anni, Angelo Casile 20 anni, Gianni Aricò 22 anni, Franco Scordo 18 anni, Annelise Borth 18 anni

26 settembre 1970 (tra Ferentino e Frosinone)

Luigi Lo Celso, nato a Cosenza nel 1944, era un socialista che negli anni ’60 aveva fondato il circolo anarchico Bakunin e si era unito agli anarchici di Reggio Calabria dopo gli attentati di Roma e Piazza Fontana.

Angelo Casile, nato a Reggio nel 1950, era un artista (pittore e scultore) impegnato nell’anarchismo e aveva viaggiato molto, partecipando anche a lotte dei minatori in Belgio.

Gianni Aricò, nato nel 1948, era un promettente schermitore che aveva dedicato la sua vita alla politica e alla scrittura.

Franco Scordo, il più giovane, nato nel 1952, era un appassionato di musica, in particolare del pianoforte, e combinava la sua passione per la musica con un impegno politico.

Infine, Annelise Borth, soprannominata “Muki”, classe ’52, era una giovane tedesca con un passato di fuga da un riformatorio e un arresto in Italia. Aveva sposato Gianni Aricò e pare fosse incinta.

Hanno notizie importanti da comunicare i cinque anarchici calabresi che la sera del 26 settembre 1970 partono in macchina per raggiungere Roma. Ai familiari, ai loro compagni della Baracca, hanno detto di voler partecipare alla manifestazione contro l’arrivo di Nixon in Italia.

Il vero motivo è che intendono consegnare di persona ai compagni di Roma, per il giornale «Umanità Nova», quei documenti spediti per posta tre settimane prima e non ancora arrivati. Hanno anche un appuntamento con l’avvocato Eduardo Di Giovanni. Solo dopo si potranno rilassare, partecipando alla manifestazione contro Nixon e forse la sera al concerto dei Rolling Stones.

Angelo, Gianni e Franco hanno iniziato a fare attività politica a Reggio Calabria poco più che adolescenti. Reggio era chiusa nel suo provincialismo, la politica era dominata dalla destra e dalla DC. I giovani anarchici cercano di forzare l’orizzonte che da generazioni viene offerto ai giovani reggini. Posto fisso o emigrazione.

A Reggio Angelo, Gianni e Franco sono tra i fondatori del gruppo Kropotkin, sul modello dei Provos olandesi. Unendo arte, cultura e protesta sociale diviene punto di riferimento per la difesa dei diritti dei più deboli: operai, studenti, disoccupati.

In seguito si trasformerà nel circolo Bruno Misefari, aderente alla Fagi, la Federazione Giovanile Anarchica della Fai, con sede alla Baracca, un villino liberty messo a disposizione da una ricca famiglia, ristrutturato dagli anarchici e frequentato da tutta la nuova sinistra.

Una sede atipica. Abitazione, atelier di artisti, luogo di dissacrazione, elaborazione e iniziativa politica.

I giovani reggini sono molto attivi nell’antimilitarismo, contro la Nato e le leggi di polizia, nell’astensionismo, a sostegno degli scioperi operai e delle lotte nelle scuole. Scrivono articoli per il settimanale «Umanità Nova». Viaggiano molto per l’Europa per prendere contatti politici.

Nel 1968 a Reggio, come nel resto d’Italia, viene contestata la proiezione del film Berretti Verdi, in cui John Wayne interpreta un capitano dei marines, nelle vesti di eroe nazionale contro il nemico vietcong. Il 4 ottobre, davanti al cineteatro Margherita, una cinquantina di giovani – dalla FGCI agli anarchici – cercano di impedire la proiezione. La polizia carica, ma ci sono anche scontri con i fascisti.

Nell’ottobre 1969, per solidarizzare con i compagni sotto processo per la manifestazione antimilitarista che FGCI e anarchici hanno tenuto al porto di Reggio Calabria nel 1967, arrivano anche militanti da Roma, tra cui Pietro Valpreda e la giovane Annelise Borth, da tutti chiamata Mucky.

Si innamora di Gianni, che è fra gli imputati. Saranno tutti assolti.

Le bombe del dicembre 1969 rappresentano l’inizio della strategia della tensione, quella catena di attentati e tentativi di colpi di Stato volti a rafforzare il potere, messo in crisi dalla forte spinta alla trasformazione dovuta alle lotte sociali e politiche del Sessantotto e dell’anno successivo.

Gli anarchici vengono accusati delle bombe di Roma e Milano, così come di quelle precedentemente esplose a Reggio Calabria dopo il divieto del comizio di Junio Valerio Borghese.

Il 12 dicembre Angelo, Gianni e Annelise sono a Roma. Frequentano il circolo Bakunin, in via Baccina, e mentre sono in giro per la città scoppiano le bombe a Milano e Roma. Vengono fermati e ripetutamente interrogati nell’istruttoria condotta dal giudice Vittorio Occorsio.

La ragazza, minorenne e senza documenti, era scappata da un riformatorio in Germania. Prima dà false generalità, poi cede. Estradata, è di nuovo rinchiusa in un istituto ad Amburgo.

La caccia all’anarchico coinvolge anche i compagni della Baracca, che nel frattempo viene assaltata da due fascisti, messi in fuga da Franco, che li colpisce con un badile.

I due ragazzi rimangono in carcere fino alla vigilia di Natale, quando vengono scagionati dalla commessa di una libreria. Riprendono subito l’attività politica e i viaggi. Vanno a trovare Annelise ad Amburgo. Poi proseguono verso l’Olanda.

Gianni è contrario all’istituto del matrimonio, ma per far tornare Annelise la sposa per procura, il 28 aprile 1970, facendosi accompagnare in municipio da un suo cugino travestito da donna. Mucky torna in Italia per i suoi diciotto anni.

Nel luglio 1970 scoppia la rivolta di Reggio Calabria, per l’annuncio di spostare il capoluogo di regione a Catanzaro, con la conseguente perdita di vantaggi e privilegi. A far esplodere la rabbia, che si esprime con cortei, blocchi stradali e ferroviari, scontri, assalti alle sedi dei partiti e alle armerie, è l’estrema povertà della popolazione.

Ma sono in pochi a sinistra – Lotta Continua e gli anarchici – a capire le vere ragioni della protesta. Anche se la prima vittima sulle barricate è Bruno Labate, ferroviere iscritto alla CGIL.

I compagni della Baracca, stretti fra la violenza della polizia e quella dei rivoltosi, distribuiscono volantini sulle barricate. Spiegando che l’obiettivo non è il capoluogo, ma la lotta contro lo Stato, la polizia, i padroni.

Il tentativo fallisce. La rivolta perde presto il suo carattere spontaneo e popolare. «Boia chi molla!», iniziano a urlare i rivoltosi diretti dai fascisti, che alzano il tiro.

Il 22 luglio una carica di tritolo fa saltare un tratto ferroviario in prossimità della stazione di Gioia Tauro, provocando il deragliamento del treno La freccia del Sud, con sei morti e numerosi feriti.

I giovani anarchici arrivano sul luogo del disastro per partecipare ai soccorsi. Il fatto viene subito archiviato come incidente, e sono incriminati i macchinisti. Gli anarchici reggini, in accordo con i compagni della FAI di Roma, da cui ricevono una macchina fotografica, iniziano un’inchiesta di controinformazione sulla strage, e sulle infiltrazioni e strumentalizzazioni fasciste nella rivolta.

Documentano la presenza sulle barricate di picchiatori di Avanguardia Nazionale provenienti da tutta Italia. Al loro fianco, uomini delle ’ndrine e dei servizi. Mentre svolgono, in segreto, la controinchiesta, i compagni proseguono le iniziative politiche, e anche lo scontro fisico con i fascisti.

Il 6 settembre Gianni telefona ai compagni romani, avvertendoli di avere spedito per posta parte dei risultati dell’inchiesta. «Abbiamo scoperto delle cose che faranno tremare l’Italia!», dice alla madre e al suo avvocato. Il materiale non arriverà mai a destinazione.

Nei giorni successivi accadono diversi fatti strani: scompaiono rullini fotografici e altri materiali in una incursione nella sede del Misefari, arrivano minacce telefoniche a casa degli anarchici, Franco subisce un’aggressione da parte dei fascisti.

Vengono anche a sapere che Mauro De Mauro, un giornalista de «L’Ora» di Palermo che sarà poi ucciso, sta indagando sugli stessi fatti. La tensione è alta, ma decidono ugualmente di portare a Roma il dossier, nascosto nella cuccia di Urlo, un cane che tenevano nella sede addestrato e ringhiare a poliziotti e carabinieri e ad allontanare i fascisti.

La sera del 26 settembre una utilitaria percorre il tratto dell’autostrada in salita nei pressi di Ferentino, verso Roma. Alla guida c’è Gianni Aricò, al suo fianco Annelise Borth, incinta, nel sedile posteriore Angelo Casile, Franco Scordo e Luigi Lo Celso.

Sono partiti da Vibo Valentia, dove hanno partecipato a una riunione della sinistra extraparlamentare calabrese. Luigi, che fa parte del Circolo Bakunin di Cosenza, è preoccupato. Suo padre ha ricevuto una telefonata da ambienti vicini all’ufficio politico di Roma che sconsigliavano di far partire il figlio per la capitale.

A cinquantotto chilometri da Roma, l’auto si scontra con un autotreno. I tre compagni che sono dietro muoiono sul colpo, Gianni spira all’arrivo all’ospedale di Frosinone, Mucky si spegne ventuno giorni dopo, all’ospedale San Giovanni di Roma.

La dinamica dell’incidente presenta molti elementi sospetti. E l’inchiesta varie lacune. Strana è anche l’immediata presenza sul luogo dello scontro della polizia politica di Roma, quando ancora non sono stati identificati i cadaveri. Qualcosa scompare. L’agenda di Franco, dove ha annotato gli indirizzi dei compagni di Roma. Ma anche le foto, i documenti del dossier.

Gli articoli dei giornali sono tesi a screditare e calunniare i giovani anarchici, mentre da tutta Italia giungono gli amici, i compagni, convinti che non si sia trattato di un incidente. Il 29 settembre ai funerali ci sono bandiere con la A cerchiata, garofani rossi.

L’indagine è presto archiviata. Ma i familiari, costituitisi parte civile, insieme ai compagni, tentano di far riaprire le indagini. A Roma viene creato un Comitato politico giuridico di difesa.

È un anarchico di Salerno, Giovanni Marini, divenuto in seguito noto per essere stato rinchiuso in carcere dopo la morte di un fascista che lo stava aggredendo, a scoprire che l’autista del camion, come suo fratello che ne è proprietario, sono dipendenti di Junio Valerio Borghese.

L’inchiesta dei compagni porta anche a scoprire che l’incidente avviene nei pressi di una tenuta del principe nero, dove anni prima in circostanze analoghe aveva perso la vita sua moglie.

Il giornale «Lotta continua» denuncia che l’autotreno dei fratelli Aniello, invece di essere sequestrato per accertamenti, un mese dopo provoca un altro incidente con molte vittime.

E rivela anche che i cinque anarchici sono stati eliminati per aver scoperto che la strage di Gioia Tauro è stata provocata da un attentato.

Di questi fatti si torna a parlare negli anni Novanta, dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti della ’ndrangheta e della destra. La morte degli anarchici reggini viene attribuita a una squadra di Avanguardia Nazionale alle dipendenze del principe Borghese.

E collegata al deragliamento della Freccia del sud, un attentato a base di tritolo. La ’ndrangheta, che aiutava i fascisti sulle barricate, fu parte attiva nei loro attentati, su commissione del Comitato d’Azione per Reggio capoluogo.

Gli anarchici di Reggio erano riusciti a ricostruire un puzzle che legava criminalità organizzata, eversione nera, apparati dello Stato. Partendo dalle bombe del 12 dicembre, passando per le barricate di Reggio Calabria e il deragliamento del treno a Gioia Tauro.

Per arrivare, nel dicembre 1970, dopo la loro morte, al tentato golpe Borghese.

Fascisti addestrati nella Grecia dei colonnelli, ’ndrangheta, servizi segreti, bombe. C’era un sodalizio criminale dietro la rivolta di Reggio Calabria e la strage di Gioia Tauro. E nell’uccisione dei cinque anarchici a Ferentino.

da Fondazione la rossa primavera