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29 settembre 1997

Abbiamo voluto fortemente questo incontro, la spinta a concretizzare questa iniziativa risponde a molteplici esigenze che molti di noi, compagni di Walter, hanno maturato in questi ultimi mesi nel tentativo di attenuare il peso insopportabile della morte di un amico.

Questi venti anni non hanno mitigato il dolore di quella tragedia, anzi le trasformazioni sociali, le rivisitazioni storiche, le semplificazioni entusiaste del capitalismo trionfante, riacutizzano il malessere che portiamo dentro, stimolando la resistenza ad una lettura rituale sulla figura di Walter, sugli anni ‘70, su un periodo quasi sempre demonizzato e raccontato solo dalle sentenze giudiziarie, e da una legislazione dell’emergenza che ha inflitto migliaia d’anni di sofferenze..

Walter ed Elena, così come tutti gli altri compagni assassinati, da Paolo Rossi a Valerio Verbano, quanti hanno macchiato del loro sangue le strade di questo paese negli anni ‘70, e quante vittime ignare assassinate dal terrorismo di stato, da piazza Fontana a Ustica.

Un elenco pesante che obbligatoriamente richiede una risposta storica che ancora oggi non è ricercata né voluta, ma tuttora ottusamente negata; questo accentuato da un attacco senza precedenti ai valori stessi che hanno fondato questa repubblica. 

La denuncia dei partigiani di via Rasella è solo un episodio del tentativo di revisione che tenta di cancellare non solo il sacrificio di oltre 75.000 partigiani morti nella lotta di liberazione, ma gli stessi ideali che li hanno spinti alla lotta armata contro il nazismo ed il fascismo.

Sono gli ideali di libertà, di giustizia, di uguaglianza che hanno contribuito all’emancipazione della società umana in questo secolo e che si tenta di mistificare se non di sradicare dalla memoria collettiva.

Forse le spinte ideologiche che hanno portato i nostri compagni a morire non sono più le nostre, eppure sentiamo profondamente che per onorarne la memoria, per placare la nostra coscienza, dobbiamo raccontare la loro storia e quella della loro generazione, gli ideali che li portava a rischiare la vita, ma soprattutto vogliamo denunciare chi li ha uccisi e perché. Non può esserci pace senza verità e giustizia, non può esserci pace senza memoria.

Ma la memoria non può essere mondata dalle differenze, dalle contrapposizioni passate o dalle esigenze politiche del momento, pensiamo che la sinistra nel suo complesso abbia un debito con la storia di questo paese, con ampi settori sociali che hanno influenzato e caratterizzato gli ultimi tre decenni.

Una mancanza che ha contribuito a cristallizzare le posizioni fino a renderle incomprensibili, svilendo il confronto ad una conflittualità ininterrotta di spaccature e scissioni. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, una sinistra incapace di progettualità alternative, timorosa addirittura nella rivendicazione del proprio passato.

Noi, cari compagni del PDS e di Rifondazione Comunista, facevamo e facciamo parte della vostra stessa storia, del movimento operaio, delle classi più sfruttate e depauperate dalla logica del profitto. Non eravamo provocatori - come venivamo definiti - ma antagonisti verso un certo modo di far politica, di chi rifiutava e rifiuta di comprendere quanto creativo e culturalmente innovativo veniva richiesto da larghi strati giovanili.

Questa è una società che non ci piace, lanciata verso una globalizzazione del mercato, ideologicamente e culturalmente insensibile se non ostile alla differenza, alla debolezza, alla povertà.

Rianalizzare le scelte della sinistra dal dopoguerra ad oggi, di quella parte della società che ambiva a mutare “lo stato di cose presenti” sia nella scelta riformista che in quella rivoluzionaria, fornirebbe un ulteriore contributo per la lettura degli attuali assetti, dei conflitti e delle trasformazioni della società d’oggi.

Una società che alle porte del terzo millennio ha bisogno ancor più di prima della sinistra, della diversità che rappresenta storicamente, dei suoi valori, dei compagni di ieri e di oggi.

Certo è un prezzo alto, smisurato la morte a vent’anni. Tanto più se gli ideali per cui lottare non si sono ancora realizzati. Ma il fatto di esserne così consapevoli ci dà la forza di affermare: NO, quegli anni non sono stati vani e, pur nella loro drammaticità, è valsa la pena di averli vissuti.

Per tutto questo il ricordo di Walter è un ricordo senza pace.

Roma, Sala Borromini, 29 settembre 1997